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Eutanasia, desistenza terapeutica e testamento biologico

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Dal 1992 Eluana è in coma giudicato dai medici irreversibile, si nutre e si idrata solo grazie alle macchine. Da anni suo padre chiede a gran voce il permesso di togliere il sondino nasogastrico che tiene in vita sua figlia, permesso sempre negato dai tribunali fino a quando una sentenza della Cassazione ha acconsentito a far discutere nuovamente il caso di Eluana presso la Corte di Appello di Milano e riportandolo sulle prime pagine dei giornali.

Il caso di Eluana ha riaperto un autentico ‘vaso di Pandora’ e riacceso polemiche etiche e mediche sull’eutanasia e sulla sospensione delle cure. Il quotidiano del Vaticano, L’Osservatore Romano, ha denunciato “l’inaccettabile relativismo dei valori” emerso da questa sentenza che “rischia di orientare fatalmente il legislatore verso l’eutanasia" e i vescovi italiani, in occasione della Giornata della Vita, dichiarano che “stupisce che tante energie e tanto dibattito siano spesi sulla possibilità di sopprimere una vita afflitta dal dolore, e si parli e si faccia ben poco a riguardo delle cure palliative, vera soluzione rispettosa della dignità della persona”.

La posizione dei vescovi sembra trovare riscontro nei dati emersi da un recente studio presentato all’Istituto dei Tumori di Milano dai quali sembra chiaro che l’eutanasia viene chiesta dai pazienti solo in presenza di dolore incontrollato. Nello stesso Istituto, infatti, in venticinque anni di attività, solo quattro pazienti su quarantamila hanno richiesto l’eutanasia e per tre di essi questo desiderio è svanito quando, con terapie del dolore, hanno smesso di soffrire. Eppure il dilemma etico resta e i medici lo vivono con particolare sofferenza se, come è emerso da un sondaggio condotto dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), il 56% degli oncologi è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia e il 42% si dichiara assolutamente sfavorevole.

Eppure sembra che la pratica quotidiana decida le sorti di ogni singolo paziente a seconda delle sue condizioni. Uno studio condotto da Guido Bertolini dell’Istituto Mario Negri di Milano in collaborazione con il Gruppo italiano di valutazione degli interventi in terapia intensiva ha studiato 3.800 decessi registrati in 84 reparti di rianimazione italiani e ha concluso che il 62% di questi decessi avvengono a seguito della sospensione delle cure operata dai medici. Si chiama “desistenza terapeutica”, viene decisa dai medici insieme ai familiari del paziente e porta il medico a sospendere la ventilazione forzata o a non proseguire nella somministrazione di farmaci che si ritengono inutili in pazienti che versano in condizioni gravissime. Molto diversa dall’eutanasia, la desistenza terapeutica non prevede nessuna iniezione letale o nessuna interruzione del respiratore, ma solo un arrendersi di fronte a traumi gravissimi o complicazioni polmonari di estrema gravità.

Una decisione spesso lacerante che viene presa con difficoltà e comprensibili dilemmi morali ma che sembra l’unico modo per riempire, nella pratica ospedaliera, il vuoto legislativo in materia. La legge sul testamento biologico resta, infatti, ‘in sala d’attesa’ e, anche se il 74% dei medici lo richiede senza dubbi, il testamento biologico non sembra essere una delle priorità del governo.

Nel frattempo, i cittadini si attivano da soli e possono stilare il documento nel quale sottoscrivono le proprie volontà in materia di cure e farmaci nel caso in cui non si fosse più in condizioni di comunicare. Anche se non ha validità giuridica, il documento può rivelarsi molto utile perchè chiarisce le volontà del paziente e può aiutare il medico e i familiari a prendere decisioni più serene e meno dilanianti nel caso in cui si debba decidere di sospendere cure ritenute inutili. Il testamento va redatto in più copie e consegnato ai familiari e può essere inviato alle diverse associazioni che raccolgono i testamenti biologici come Exit Italia, Libera Uscita e Fondazione Veronesi.

MFL - martedì 6 novembre 2007

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